Dai consulenti ai portaborse, le spese pazze dei ministeri (ma nessuno ne parla)

(di Sergio Rizzo – lespresso.it) – L’ultimo grido di dolore si è levato da Bari. Dove il procuratore capo Roberto Rossi ha chiesto al Consiglio superiore della Magistratura di intervenire per alleviare una carenza di organico che sfiora il 25 per cento. Avvilente. Lo stato di salute della giustizia italiana si misura anche sui 1.652 magistrati che mancano negli uffici giudiziari di tutta Italia, e purtroppo mancano da un bel pezzo. Dovrebbero essere 10.633, invece non arrivano a novemila.

Il bello è che ce ne sono più di 200 fuori ruolo, cioè impegnati in altre faccende. Secondo i numeri più recenti del ministero della Giustizia (aggiornati al febbraio 2023, sigh…), sono esattamente 220. Una ventina fuori ruolo per mandati elettivi, come per esempio il sottosegretario a Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Altri 35 sono in servizio al Csm e alla Corte costituzionale, ma 162 sono destinati ad altre mansioni amministrative. Alcuni anche da anni. Michele Vinciguerra, per esempio, è entrato in forza al dipartimento Affari minorili del ministero il 15 maggio 2017. Uno dei tanti, perché la maggior parte dei magistrati fuori ruolo è nelle stanze del ministero della Giustizia oggi affidato a Carlo Nordio. Stando ai dati di cui sopra, sono 104 (centoquattro). Folla che presidia in massa anche i cosiddetti uffici di diretta collaborazione, termine burocratico con cui si definisce l’apparato dei pretoriani intorno al ministro e ai sottosegretari. Nell’ufficio legislativo di Nordio i magistrati fuori ruolo sarebbero addirittura 13. Più una decina nel Gabinetto guidato da Giusi Bartolozzi, ex parlamentare di Forza Italia, autrice nella scorsa legislatura di una proposta di legge per istituire un’alta corte di giustizia competente per i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati.

Cifre che contribuiscono a spiegare la crescita apparentemente inarrestabile delle spese destinate allo staff ministeriale. Nel bilancio della Giustizia sono stanziati quest’anno per gli uffici di diretta collaborazione di Nordio 51,9 milioni di euro, dei quali 41 e mezzo per stipendiare il personale: Gabinetto, ufficio legislativo, segreterie personali e tecniche, consiglieri, portavoce, consulenti… L’aumento rispetto alle previsioni del 2023 è di ben 11 milioni e mezzo. Per avere un’idea delle proporzioni di questo budget, si consideri che gli uffici di diretta collaborazione del ministero più grande di tutti, quello dell’Economia, presidiato dal numero due leghista Giancarlo Giorgetti, costano qualcosa in meno di 30 milioni l’anno.

Va detto che spesso raccapezzarsi nel dedalo dei numeri non è semplicissimo per i meno esperti. Senza dire che talvolta il confronto omogeneo con le spese delle gestioni precedenti si rivela impossibile, alla faccia della tanto sbandierata trasparenza. In qualche caso, poi, i bilanci di previsione lasciano addirittura il tempo che trovano, tanto le cifre sono ballerine. Com’è possibile che le spese dell’apparato dell’attuale ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, s’impennino dai 52,1 milioni di quest’anno ai 73,5 del 2025 per poi precipitare a meno di 43 nel 2026? E che quelle del ministero delle Imprese e del Made in Italy di Adolfo Urso crollino dall’astronomica somma di 132,5 milioni previsti per il 2024 ad appena 25,3 milioni l’anno prossimo? Ma il fatto è che le spese per gli staff ministeriali, a giudicare almeno dai bilanci ufficiali più credibili, stanno andando in orbita un po’ dappertutto. E, a onor del vero, la situazione non era molto diversa nemmeno prima del governo di Giorgia Meloni.

Prendiamo il ministero dell’Interno. Il bilancio 2019 predisposto dal ministro Salvini, di cui era capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, stanziava 27,8 milioni. Saliti a 30,7, poi a 34,1 e 36,6 con le gestioni di Luciana Lamorgese nel secondo governo di Giuseppe Conte e nell’esecutivo di Mario Draghi. Per scendere lievemente a 36,1 nel 2023, impennandosi però quest’anno alla spettacolare cifra di 79 milioni e mezzo. Dice il bilancio che gli uffici di diretta collaborazione del ministro-prefetto Piantedosi si pappano lo 0,26 per cento delle risorse del Viminale. Può sembrare un’inezia, ma è ben più del doppio rispetto allo 0,11 per cento del 2019.

Pur non volendo considerare il picco del 2024, la crescita risulta progressiva e inarrestabile. Come al ministero degli Esteri del leader forzista Antonio Tajani. Lì si prevede di spendere per gli uffici di diretta collaborazione nel 2024 circa 25 milioni e mezzo, contro i 22 del 2023, i 16 del 2022, i 18 del 2021 e i 13 del 2020.

Per non parlare del ministero di Giuseppe Valditara, ex aennino ora leghista. Lo stanziamento per l’apparato dell’Istruzione e del Merito è stato fissato per il 2023 (ultimo dato disponibile nel sito ufficiale) a 22,8 milioni. Quasi il doppio rispetto alla previsione del 2022, pari a 12 milioni e mezzo. Mentre nel 2021 la somma ipotizzata era ancora inferiore: 8,9 milioni, con un calo di tutto rispetto in confronto al 2020, quando però nel governo Conte-due il ministero dell’Istruzione era stato unificato con quello dell’Università e della Ricerca. Contrariamente a ora, che i ministeri sono due e ben distinti. Ragion per cui, ai 22,8 dell’Istruzione, nel 2023 andrebbero sommati i circa 9 milioni stanziati per l’Università e la Ricerca di Anna Maria Bernini. Per un totale di circa 32 milioni: una ventina in più rispetto al budget del 2020 per entrambe le funzioni. Mica uno scherzo.

Più collaboratori, più spese, si potrebbe concludere. Perché è vero che gli staff ministeriali sono sempre più affollati. La vecchia cara abitudine d’ingaggiare i trombati alle elezioni, per inciso, non è venuta meno neppure adesso. Anzi: il taglio dei parlamentari ha rappresentato un formidabile incentivo. Un paio di parlamentari non rielette sono finite nello staff del ministro dell’Istruzione e del Merito, con una retribuzione di 45 mila euro l’anno pro capite. Briciole, in confronto al volume del budget ministeriale. Ma è la somma che fa il totale.

Un ex parlamentare ha trovato collocazione anche presso gli uffici del generoso ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Luciano Schifone, questo il suo nome, è il padre della deputata di Fratelli d’Italia, Marta Schifone, ed è fra gli elementi di spicco in una corte piuttosto nutrita, assieme alla direttrice d’orchestra Beatrice Venezi e al paroliere storico di Lucio BattistiGiulio Rapetti. In arte, Mogol. Che non si risparmi sui collaboratori, al Collegio Romano, lo sta a dimostrare il numero degli addetti all’ufficio stampa: se ne contano 13.

Le dimensioni degli apparati, quelle sono di solito pressoché sconosciute. Raramente, sempre alla faccia della trasparenza, se ne possono conoscere ufficialmente i contorni precisi. A meno che non intervenga qualche altro soggetto a rivelarli. Da un documento della Camera dei deputati sull’ultima legge di bilancio, che ha concesso al responsabile dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, un paio di milioni in più per foraggiare gli staff ministeriali, si ricava che i suoi uffici di diretta collaborazione contano 83 persone.

Una legione in cui ha trovato posto anche il portavoce Paolo Signorelli, già condannato (e poi prescritto) per il pestaggio a un tifoso della squadra greca Olympiakos, nonché – secondo le rivelazioni di Repubblica – legato all’ultrà laziale Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, assassinato qualche anno fa a Roma, con il quale scambiava via chat considerazioni dal tenore antisemita esultando per le imprese di terroristi neri e malavitosi. Incidentalmente nipote dell’omonimo ideologo della destra eversiva degli anni Settanta condannato per banda armata e scomparso nel 2010, il giovane Signorelli ha annunciato di avere deciso di dimettersi. Senza che chi di dovere abbia sentito il bisogno di rendere note le modalità per cui abbiano ritenuto idoneo un profilo come il suo per l’incarico di portavoce di un ministro della Repubblica.