Dalla sanità pubblica alla sanità del lusso

(Ilaria Marciano – ultimabozza.it) – A differenza di altri Paesi europei, in Italia si disinveste sulla sanità. Mancanza di disponibilità e ripetuti tagli nel settore spingono sempre più italiani a spostarsi dal Mezzogiorno verso nord per farsi curare. La riforma dell’autonomia differenziata rischia di rendere l’accesso alle cure, più che un diritto, un privilegio.

C’è un diritto, quello alla salute, che sempre meno cittadini possono dare per scontato: le lunghe liste d’attesa, la mancanza di disponibilità nelle strutture pubbliche, i costi nel settore privato che diventano sempre meno accessibili hanno reso ormai la sanità italiana un lusso.

Il Servizio sanitario nazionale, infatti, è al centro di un profondo divario tra il Nord e il Sud del Paese, un divario che nel corso degli anni, secondo il rapporto Svimez 2024, si è ampliato significativamente. E le cifre parlano chiaro: mentre le risorse pro capite investite nel SSN sono diminuite del 2% tra il 2010 e il 2019, altri Paesi europei hanno visto un incremento significativo. Come la Spagna, che nello stesso periodo ha registrato un +9%, o il Regno Unito (27%), ma anche Francia (+32%) e Germania (+38%). Solo la pandemia da Covid-19 ha portato un’incerta inversione di tendenza, con un aumento della percentuale di PIL investita nella sanità in tutti i Paesi. Gli effetti di questa mancanza di investimenti e ripetuti tagli nel settore sanitario, dunque, hanno dato vita a disuguaglianze sempre più marcate tra il Nord e il Sud Italia: secondo il rapporto, infatti, le regioni meridionali mostrano livelli di spesa per abitante inferiori alla media nazionale di 2140 euro.

In particolare, la spesa corrente più contenuta si registra in Calabria (1748 euro), seguita da Campania, Basilicata e Puglia. Per quanto riguarda gli investimenti, i valori più bassi emergono in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), rispetto alla media nazionale di 41 euro. Oltre ai dati finanziari, il fattore sociale aggiunge un ulteriore strato di disuguaglianza: su 1,6 milioni di famiglie italiane che vivono in povertà sanitaria, 700mila di queste vivono nel Mezzogiorno: in particolare, le famiglie considerate in povertà sanitaria sono l’8% al Sud, il 5,9% al Nord-Ovest, il 5% al Centro e il 4% al Nord-Est. Le conseguenze di questo divario, naturalmente, non sono solo statistiche, e producono degli effetti concreti che si traducono in una costante migrazione di pazienti dal Sud al Centro-Nord del Paese, soprattutto per le patologie più gravi. Per esempio, nel 2022, su un totale di 629 mila migranti sanitari, il 44% proveniva da una regione del Mezzogiorno; per le patologie oncologiche, oltre 12.400 pazienti meridionali si sono dovuti spostare per ricevere cure al Centro o al Nord.

I dati del rapporto Svimez, dunque, restituiscono l’immagine di un Paese diviso a metà nell’accesso alle cure ed evidenziano un quadro preoccupante del sistema sanitario italiano. E adesso il rischio, se verrà approvata la riforma dell’autonomia differenziata – passata a fine gennaio al Senato e ora in attesa di essere discussa alla Camera – è che questo divario si acuisca, rendendo l’accesso alle cure, più che un diritto, un privilegio.