Ilaria Salis e la casa popolare occupata: «12 mila appartamenti sfitti e 10 mila famiglie in attesa: le istituzioni non fanno niente»

L’eurodeputata Ilaria Salis può finalmente rilasciare interviste da sola e non più per procura attraverso il padre. E in un colloquio con Repubblica oggi racconta delle frizioni con il padre Roberto, che politicamente la pensa in modo diverso da lei: «Mio padre è un liberale ma non abbiamo mai litigato per questo. L’antifascismo è il nostro comune denominatore». Infatti lui ha combattuto per la sua liberazione: «L’ha fatto col cuore e con convinzione. Ero chiusa in fondo al pozzo, nessuno sentiva la mia voce, è stato lui a portarla fuori». Della madre invece non parla perché rispetta «la sua riservatezza». Adesso, dice Salis, sta studiando il funzionamento dell’europarlamento, ma il nuovo ruolo non le fa paura: «Mi spaventava di più essere in un carcere ungherese».

Il senso di responsabilità

Dice che spera di cavarsela a Strasburgo «col senso di responsabilità che provo verso tutte le persone che mi hanno dato fiducia. Pressione e aspettative ci sono, ma devo fare le cose con calma e lucidità, ci metterò tutto il coraggio che ho». Sostiene che in molti l’abbiano votata «per la questione della mia carcerazione e per sostenere i diritti dei detenuti. Altri per la voglia di portare sulla scena politica qualcosa che provenisse dal basso, perciò manterrò i legami coi movimenti. Porterò tutte quelle esperienze con me a Bruxelles». E lo farà «attraverso proposte di legge, mozioni e gli altri strumenti degli europarlamentari. Mi batterò per la difesa dei detenuti, del lavoro precario, dei migranti per i quali ci dobbiamo assumere la responsabilità storica dei morti in mare, e del diritto alla casa».

L’occupazione

E qui parla anche dell’occupazione dell’alloggio popolare a Milano: «La famosa casa dello scandalo… la polizia mi ha trovato lì nel 2008, quando avevo 24 anni. Oggi ne ho 40. Da allora non sono più andati a fare verifiche per vedere chi ci abitasse, però l’Aler mi contesta lo stesso un debito di 90 mila euro». Poi spiega perché lo ha fatto: «Prendiamo Milano, 12.000 appartamenti popolari sfitti e 10.000 nuclei familiari in lista di attesa. I movimenti per la casa non tolgono niente a nessuno, cercano di risolvere con altre modalità un problema che le istituzioni non risolvono». Anche se, dice, «non mi sento un simbolo. Sento di essere una donna in carne ed ossa con una storia. Non sono sola, attorno ho una comunità che ha combattuto insieme a me, che ha dato prova della forza della solidarietà».

L’anti-Vannacci

Proprio oggi Libero cita le visure catastali della famiglia, da cui risulta che la famiglia Salis è proprietaria di un villino a Monza e di un immobile all’Abetone. Infine, dice Salis, non si sente l’anti-Vannacci: «Non sono l’anti di nessuno. Trovo svilente ridurre la politica a un talk show. Non mi interessa diventare un personaggio». Ha letto degli esponenti di Fratelli d’Italia che fanno battute sulla sostituzione etnica, i forni crematori, gli omosessuali? «Mi fanno schifo. È preoccupante e pericoloso che siano tollerate in un Paese come il nostro, emanano da un’ideologia di morte». Perché «il carcere non mi ha cambiata. I miei ideali sono gli stessi».