Lettere a Iacchite’: “Castrovillari, il disastro ambientale del Sant’Aniceto”

IL DISASTRO AMBIENTALE DEL SANT’ANICETO  

Il Sant’Aniceto, come notoriamente viene denominato dai castrovillaresi, è un piccolo corso d’acqua intermittente che si origina in parte dalle pendici dei monti del Pollino (Valle Piana), a Nord di Castrovillari. Nel suo percorso a valle prende diversi nomi: Canale “Cerasullo”, Vallone San Nicola, Vallone dell’Alona.

Il rigagnolo d’acqua che accresce la sua portata (sempre molto limitata) durante le piogge e, ahinoi, per qualche scarico non ancora regimato, procede, per una buona parte del suo percorso, in un profondo vallone, che di fatto ne impedisce le esondazioni, e che negli anni ha visto proliferare una ricca vegetazione: lussureggianti pioppi, ontani, salici, querce, allori, mandorli, ma anche rovi, canneti, formazioni di fichi d’india e agave. Al patrimonio vegetazionale si accompagna una fauna ricca e variegata, con la presenza, tra l’altro, di ricci e istrici e soprattutto una diversificata avifauna, che lo rendono un prezioso corridoio ecologico.

Questo però fino a qualche giorno fa, e cioè quando iniziarono i lavori di “pulizia, bonifica e diserbo” dell’alveo. Così menzionati, in modo generico, nella Determina del 29-12-23 n. 347 del Comune di Castrovillari, che assegnava i lavori, con affidamento diretto, ad una nota ditta di legnami del posto.

Ma quella che poteva essere una ordinaria attività di manutenzione, in realtà si è trasformata in un disastro ambientale, con l’abbattimento di almeno duecento alberi di diverse dimensioni, e la distruzione di ogni forma di vegetazione in tutta la fascia di rispetto proprio nel tratto dell’Ex mattatoio (via Sant’Aniceto).  Abbattuti persino pioppi di oltre 20 anni, posti lungo le alte pareti del vallone, atti, tra le altre cose, a mantenere un terreno già di per sé franoso (già testimoniato dai noti problemi di stabilità del versante proprio su via Sant’Aniceto), aumentando così sensibilmente la condizione di rischio idrogeologico. La dimensione e la quantità dei tronchi accumulati alle spalle del palazzo senatore, parlano da soli.

È bene precisare che la presenza di alberi di alto fusto (comprese le acacie), così come altre forme di vegetazione, in una valle semi-aperta, hanno la straordinaria funzione di ridurre “l’energia” del corso d’acqua, durante una eventuale esondazione, e fungere da freno per eventuali ammassi di detriti che, viceversa, potrebbero raccogliersi nel letto del fiume e generare “tappi naturali”. Soprattutto se l’esiguo corso d’acqua è costretto a passare, come nel nostro caso, sotto un piccolo ponte con una luce di soli pochi metri (ponte Sant’ Aniceto, dove vi transita l’omonima strada).

Diverso ragionamento va fatto per quelle piante che ostacolano il deflusso delle acque, ma, anche in questo caso, sarebbe stato opportuno valutare singolarmente il tipo d’intervento, e soprattutto pensare al periodo più idoneo per effettuare il taglio, che di certo non è questo di marzo inoltrato. Ricordiamo che distruggere la vegetazione, rimodellare il terreno, a ridosso della primavera, quando le specie ornitiche stanno iniziando la nidificazione, è, dal punto di vista ecologico, un rilevante danno ambientale, incidendo negativamente soprattutto sulle popolazioni delle specie più a rischio, che risentono fortemente della distruzione e quindi la riduzione di habitat fluviali come quello in questione.

Bisogna inoltre specificare che l’intervento ha interessato l’area di pertinenza e quindi le fasce di rispetto del corso d’acqua, che, come la legge prevede, sono vincolate e quindi sottoposte a specifiche restrizioni normative. Così, l’art 115 del D.lgs. n. 152/2006, prescrive che ”le Regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi […]”. Lo stesso articolo sottolinea l’importanza “di  assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione  spontanea  nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici,  con funzioni di filtro per i solidi sospesi e gli inquinanti di   origine   diffusa,   di   stabilizzazione   delle  sponde  e  di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze di funzionalità  dell’alveo …” L’art. 142 del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio…) pone il vincolo paesaggistico e tutela taluni corsi d’acqua […] e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna.

Pertanto, si deduce che, NON trattandosi di attività né contingibili, né urgenti per motivi di pubblica incolumità, interventi di questo genere devono essere sottoposti ad autorizzazioni e/o a pareri.

A questo punto è lecito porsi alcune domande. Ci chiediamo innanzitutto:

-perché nella suddetta Determina comunale non si fa alcun riferimento ad eventuali autorizzazioni/pareri della Soprintendenza dei beni culturali essendo aree vincolate paesaggisticamente, né tanto meno della Regione Calabria, trattandosi di aree demaniali?

– perché, considerando l’abbattimento indiscriminato di piante di alto fusto, persino distanti dal letto del corso d’acqua, NON viene richiamata, nella già citata Determina, una perizia tecnica qualificata?

– perché, sempre nella determina, non si fa riferimento alla destinazione e alla proprietà del legnatico ottenuto dai tagli? Resta di proprietà del Comune oppure alla Ditta di legnami esecutrice dei lavori?

Per di più, in via del tutto generale, ci domandiamo come mai oggi, tali interventi, gravano economicamente, a suo malgrado, sul Comune, e quindi inevitabilmente sui cittadini contribuenti, mentre un tempo, la manutenzione dei corsi d’acqua-canali o la realizzazione di piccole opere di regimazione era affidata ai Consorzi di bonifica e quindi, al lavoro dei cosiddetti operai forestali?

Queste sono solo alcune delle domande che ci siamo posti alle quali, molto probabilmente, non avremo mai risposta, alimentando quel senso di impotenza che le istituzioni spesso lasciano.

Sembra oramai che nessuno, amministratori compresi, consideri l’importanza ecologica degli alberi e del valore dei sistemi naturali, come bene primario. Eppure la scienza è unanime nel sostenere che non possiamo più ignorarli se vogliamo fronteggiare il cambiamento planetario al quale stiamo passivamente assistendo. La parola chiave resta: “biodiversità”, maggiore è la sua integrità, maggiori possibilità abbiamo nell’affrontare i disastri “dell’antropizzazione intensiva” (persino in agricoltura), migliorare la qualità di vita, garantire la nostra sopravvivenza, sempre più legata agli altri esseri viventi.

Allora, di fronte all’ennesimo scempio ambientale, che ha azzerato flora e fauna di un tratto del fiume e che ci ha reso ancora più poveri, confidiamo, al di là delle nostre parole oramai ridondanti, che le forze di polizia deputate, abbiano svolto i dovuti e repentini controlli, e che, in caso di inadempienze e/o inosservanza delle norme, la Procura abbia aperto un fascicolo per accertare responsabilità, e se possibile, per dare una risposta ai cittadini, sconcertati per questa scelta “tecnica” non necessaria e così radicale e distruttiva.

(ACANTO Organizzazione di Volontariato – Dott. Francesco Del Bo – 22-03-2024)