Liguria. Toti “resiste”: in Italia tutto è praticabile, specie se risulta impresentabile

Renzo Parodi – tpi.it) – Giovanni Toti dunque ha capito. Tornasse indietro, non accetterebbe più denaro da imprenditori privati come gli era accaduto in passato (decine e decine di migliaia di euro, non mancette da questuante, dall’amico Aldo Spinelli, dal manager di Esselunga Moncada e dal re dei rifiuti, Colucci).

Soldi ricevuti in piena buona fede ed esclusivamente per fare al meglio gli interessi dei cittadini liguri, precisa l’ancora scandalosamente presidente in carica della Liguria. Il quale torna a rivendicare – apertis verbis e senza provare un sussulto di vergogna – la correttezza dei suoi comportamenti passati, proprio quelli che lo hanno messo nei pasticci con la Giustizia.

E racconta, compunto e contrito nella richiesta di revoca degli arresti domiciliari inoltrata al Tribunale del Riesame (e già bocciata dal Gip genovese Paola Faggioni), che oggi non ricadrebbe in tentazione e rifiuterebbe le prebende e le mazzette che la Procura della Repubblica di Genova si ostina a contestargli.

“Mamma, mamma. Giurin giuretto. Non lo farò mai più”. Allora perché? Perché vi accanite a tenermi confinato nella mia pur confortevole villetta di Ameglia, impedendomi di esercitare i poteri che gli elettori liguri mi hanno conferito?

Questo è il succo della supplica di Toti, che non si capacita proprio di come quei cattivoni dei pubblici ministeri genovesi non si convincano che, no, mai più lui ricadrebbe nel trappolone dei regali proibiti, e tantomeno si sognerebbe di intrattenere rapporti men che corretti con i suoi interlocutori e – Dio scampi – mai e poi mai si sognerebbe di inquinare le prove accumulate a suo carico (non precisamente leggere, a leggere gli atti dell’inchiesta) rimestando in segreto nelle pieghe delle alleanze politiche, subornando testi, maneggiando e manipolando evidenze documentali o altro materiale probatorio che la Guardia di Finanza continua ad acquisire nelle sedi istituzionali delegate. Precisamente ciò che teme la Procura, che si era espressa contro la richiesta di revoca dei domiciliari, così come il gip Faggioni.

Ve lo dico io, mi dovete credere, chiosa l’ineffabile Toti, assistito in questa crociata dal suo legale di fiducia, l’avvocato Stefano Savi, il quale evidentemente gli ha consigliato di buttarla sul sentimentale.

Si può obiettare che è una contraddizione in termini rivendicare, come Toti insiste a fare, la correttezza dei propri comportamenti passati, conditi dall’incasso di laute contribuzioni elettorali da parte di soggetti privati interessati alle pratiche che Toti nella veste politica di governatore ligure aveva il diritto-dovere di gestire e indirizzare. E che viceversa la Procura considera truffaldini e penalmente rilevanti.

E l’attuale promessa di non ripetere quegli stessi comportamenti che Toti, lo ripeto, continua ostinatamente a sostenere essere leciti, evidentemente perché non può negarne l’esistenza più che acclarata.

Su quale base, esattamente varrebbe questo strambo sillogismo? Quanto varrebbe l’impegno a non peccare più, visto che ormai le uova per la frittata sono state ampiamente rotte e cucinate?

Nella strategia di Toti ci vedo un piano per così dire alternativo, una exit strategy: si è rassegnato al rinvio a giudizio e al conseguente processo, se in forma ordinaria o con rito abbreviato, lo vedremo. Gioca quindi tutto sulla propria sopravvivenza politica alla guida della Regione invocando il dovere di affrontare i tanti nodi della politica che da qui in avanti si profileranno inesorabili, raggiungendo il culmine in autunno. La discussione sul bilancio, il pauroso buco della sanità pubblica (229 milioni di euro! ) che l’ineffabile assessore Gratarola definisce perfettamente gestibile e non preoccupante, le tante questioni collegate.

Toti in questo tentativo disperato di restare in sella ha chiesto di incontrare gli esponenti politici della sua maggioranza. Si suppone per riceverne una sorta di nuovo mandato a governare la Liguria. Alla faccia dell’opportunità politica di non condannare una intera Regione ad essere governata da un presidente più che dimezzato, un’anatra zoppa sottoposta alla ferula del rinvio a giudizio per corruzione e voto di scambio. È questa una prassi praticabile? In Italia tutto è praticabile, specie se risulta impresentabile, indigeribile e moralmente deprecabile.