No al Ponte sullo Stretto, si passa alle vie legali. Gli esposti presentati a Reggio e a Messina

(di Fabrizio Berté e Alessia Candito – repubblica.it) – Contro il Ponte, sulle due sponde dello Stretto si passa a vie legali. Dopo quello presentato alla procura di Roma dall’Alleanza Verdi e Sinistra e dal Pd, anche gli Uffici di Reggio Calabria e Messina hanno ricevuto due corposi e documentati esposti. Sulla riva siciliana dello Stretto, sono stati oltre quaranta professionisti messinesi, magistrati, avvocati e docenti universitari, a mettere insieme carte e documenti per contestare la legittimità del Ponte anche dal punto di vista procedurale. A Villa San Giovanni invece è stato il Pd a farsi promotore dell’iniziativa. “Ai magistrati chiederemo di voler valutare l’emergenza o meno di eventuali reati esitati da un’approssimazione che sembra elevata a regola, da una accelerazione immotivata, funzionale ad interessi di certo lontani da Villa e da Messina”, dice il segretario cittadino Enzo Musolino.

L’esposto dei professionisti messinesi

Al centro dell’esposto dei professionisti messinesi – depositato alla Corte dei Conti e in procura della Repubblica a Messina e inviato per conoscenza a quella di Roma e al Cipess -gli ultimi due passaggi dell’iter del procedimento: il parere del comitato scientifico della “Stretto di Messina” e la successiva delibera di approvazione da parte del consiglio d’amministrazione della stessa società. Di fatto, ai magistrati si chiede: siete proprio sicuri che sia tutto regolare?

Al contrario, per i quaranta che hanno lavorato all’esposto, è plausibile ipotizzare che il parere e la delibera abbiano creato le premesse per un ingiusto e illecito depauperamento delle casse dello Stato. In più, si sottolinea, “le 68 raccomandazioni, che riempiono l’intero contenuto dell’elaborato del comitato scientifico, dimostrano la piena consapevolezza nei membri dello stesso comitato della irrealizzabilità dell’opera, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e delle sperimentazioni fatte”.

Nel parere – si ricorda – neanche si accenna che il progetto definitivo, come integrato dalla società costruttrice “Webuild”, può essere approvato “solo a condizione di fare quanto raccomandato”. Al contrario, è stato dato il “via libera” senza condizioni, ma soltanto suggerendo di fare in futuro altre indagini.

Al riguardo – ed è clamoroso, sottolineano gli esperti – dev’essere ancora concepita e costruita la macchina che dovrebbe testare, secondo una di quelle famose “raccomandazioni”, la tenuta dei cavi portanti del Ponte sullo Stretto.

Fare luce sugli atti aggiuntivi

Gli autori dell’esposto, infine, sottolineano che nella valutazione richiesta all’autorità giudiziaria e a quella contabile si deve tener conto che i soggetti in questione sono pubblici ufficiali, o equiparati; che quelli da loro esitati sono atti pubblici; che ingenti sono il profitto privato e il danno pubblico che possono conseguire a condotte, che, eventualmente, venissero ritenute integrative di reati contro la fede pubblica e il patrimonio.

Gli esperti chiedono inoltre supporto alla magistratura per fare luce sui cosiddetti “atti aggiuntivi”, con i quali “Webuild” e “Stretto di Messina” ridaranno vita ai lucrosi contratti, a suo tempo risolti dal Governo Monti, che mai sono stati resi pubblici.

Le criticità che hanno già fermato il progetto

Dall’altra parte dello Stretto, per bloccare il Ponte si punta sulle voragini procedurali. Ai magistrati della procura di Reggio Calabria – emerge dalle carte, che mettono in fila tutte le criticità – si chiede di verificare “se e in che misura sia legittimo un iter così pieno di buchi, omissioni e ingiustificate accelerazioni. Noi ci siamo limitati a mettere in fila le cose e il quadro che ne è emerso è francamente sconcertante – spiega il segretario del Pd di Villa San Giovanni – Ai magistrati abbiamo chiesto se questa inquietudine è solo nostra o è condivisibile”

Dell’opera – emerge dalle dieci pagine di esposto – non è mai stata dimostrata la fattibilità, né all’epoca dello stop imposto dal governo Monti, né nel 2021 quando a mettere mano al progetto è stato il gruppo di lavoro nominato dal Mit. In più, il progetto del 2012 – di recente “aggiornato” dalla Stretto di Messina, senza tuttavia fare nuovi studi – non ha mai avuto Via (valutazione di impatto ambientale) positiva e ha incassato parere negativo riguardo l’incidenza dell’opera sui siti della Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa.

Nell’area dello Stretto – si ricorda – ci sono due zone di protezione speciale e 11 Zone Speciali di Conservazione, in larghissima parte sovrapponibili all’area di cantiere e che da questi verrebbero devastate. Ma una valutazione di impatto ambientale non c’è, come non c’è uno studio geomorfologico e sul rischio sismico, in un’area classificata come zona sismica 1, cioè di massima pericolosità.

Società risorte, progetti riciclati

Anche la procedura con cui progetti e contratti sono tornati in vita – si spiega nell’esposto – presenta più di una criticità. Per far ripartire i cantieri con un decreto legge è stata “riesumata” la società Stretto Di Messina Spa e decisa la sua ricapitalizzazione da parte di Anas e RFI, riportando in vita il contratto che aveva con il contraente generale (ieri Eurolink, oggi Webuild) stipulato nel 2006.

Un iter neanche troppo limpido se è vero che a un giorno esatto dall’autorizzazione arriva la necessaria relazione integrativa sul progetto – che è quello del 2012 – riguardo rispondenza al progetto preliminare e prescrizioni, soprattutto in merito alla compatibilità ambientale. Una valutazione fin troppo rapida e di certo lacunosa. Mancano totalmente le prove sulla tenuta del ponte al vento e di microzonizzazione sismica. Non a caso – si ricorda nell’esposto – lo stesso comitato tecnico-scientifico della Stretto di Messina ha espresso parere favorevole, subordinandolo però a 68 “osservazioni” che mettono in luce tutte le lacune tecnico-scientifiche.

Il giallo dei costi

Aggiornamenti, verifiche e studi necessari – si fa notare – che rendono il costo del progetto sempre più indeterminato e sicuramente più elevato di quello previsto nel DEF che si assestava sui 14,5 milioni di euro. E anche lì, al conto mancava un pezzo e non da poco: il calcolo dei costi per i collegamenti stradali. “Il procedimento di riesumazione del rapporto contrattuale con Eurolink, senza gara, doveva comunque rispettare il limite della direttiva europea con un aumento dei costi non superiore al 50%, così come più volte ribadito dall’Anac. Limite – e probabilmente questo è uno dei punti più critici – che non viene rispettato, nonostante l’inquietante balletto di cifre a cui si sta assistendo e soprattutto alla luce di una loro evidenza indeterminatezza». E adesso la parola passa alla magistratura.