Omicidio Bergamini. La testimonianza di Rocco Napoli è un autogol per gli assassini di Denis

Un tassello importante di tutta la matassa dell’omicidio di Denis Bergamini mascherato con la messinscena del suicidio è la deposizione di tale Rocco Napoli, comparso davanti alla Corte d’Assise di Cosenza per la 32^ udienza del processo. E’ molto probabile che se ne tornerà a parlare nell’udienza di oggi, la 58^, nel corso della quale sarà ascoltato Gianluca Tiesi, cognato dell’imputata Isabella Internò. 

Come vedremo, tale deposizione in modo incredibile vede snaturato il suo reale contenuto. Nel corso di tutto il procedimento penale verrà ritenuta quello che non era. Sulla stessa, però, al di là delle strumentalizzazioni dei giornalisti al soldo di Isabella Internò e dei suoi familiari, ancora oggi converrà porre una particolare attenzione, in quanto può essere che proprio Napoli, se davvero transitò sulla statale jonica il 18 novembre 1989, abbia assistito ad una scena immediatamente precedente all’omicidio di Bergamini, vedendo probabilmente fermi sulla piazzola coloro che si apprestavano a fermare la Maserati condotta dal calciatore.

Già la questura di Cosenza nel lontano 1994 aveva compreso probabilmente l’importanza di Rocco Napoli, tanto da chiedere l’intercettazione della sua utenza telefonica (salvo errare clamorosamente nella esatta individuazione della persona… ma altrimenti non sarebbe stata…la questura di Cosenza!).

Ma procediamo con ordine e torniamo al giorno della sua audizione da parte del brigadiere Barbuscio. Avvenne il 24 novembre 1989 e Rocco Napoli si presentò spontaneamente al brigadiere, che ascoltò il teste da solo, senza la presenza di altri militari.

Rocco Mario Napoli, all’epoca dei fatti, era un venditore ambulante di frutta e verdura e la sera del 18 novembre 1989 sta percorrendo la statale 106 in direzione Taranto, dovendo raggiungere Montegiordano Marina, a bordo del proprio furgoncino Renault targato MT68050. Con lui viaggiano moglie e cognata.
Verso le ore 19:00, il NAPOLI transita in prossimità della piazzola un’autovettura in sosta, col muso rivolto in direzione Taranto.

Pur tra alcune contraddizioni emerse le corso delle deposizioni rese negli anni (tra spontanee dichiarazioni rese al Brigadiere Barbuscio, testimonianza al processo contro Raffaele Pisano e nuove deposizioni nelle ultime riaperture del caso e non ultimo in qualità di teste nel processo contro Isabella Internò), l’uomo ha sempre mantenuto alcuni punti saldi su ciò che vide quella sera.

Una macchina bianca ferma verso il centro della piazzola a pochi metri di distanza dalla carreggiata (che nel corso degli anni dirà essere una Maserati, probabilmente anche per le notizia giornalistiche che ne riportavano il modello), un giovane che scendeva dal veicolo dallo sportello lato guida e si avvicinava alla carreggiata proprio mentre egli transitava in quel punto (anche se nel corso degli anni dirà che non ricordava bene se era già fuori dal veicolo o era sceso in quel momento), il giovane che si avvicinava al ciglio della carreggiata con lo sguardo rivolto verso Roseto e con le mani in tasca.

Sosterrà sempre che, in quel preciso attimo, istintivamente ha effettuato una repentina sterzata sulla propria sinistra temendo di poter investire quel giovane da egli percepito troppo vicino alla carreggiata, ma di aver effettuato quella manovra d’istinto, come un qualsiasi accorto e responsabile conducente di veicolo fa quando reputa un qualsiasi potenziale ostacolo troppo vicino, e non perché avesse percepito che il giovane avesse intenzione di lanciarsi sotto il proprio veicolo. Come detto, ricorderà una figura tranquilla, con le mani in tasca e che si muoveva rivolto vero Roseto Capo Spulico. Circostanza confermata anche dalla cognata Franca Giovanna Valerio, che viaggiava a bordo del furgoncino accanto lo sportello lato passeggero.

Sebbene durante l’ultima attività d’indagine ci siano state delle perplessità, tra riscontri ed incroci di testimonianze effettuate, gli investigatori non hanno dubbi sul fatto che la persona vista da Rocco Mario Napoli era Donato Bergamini negli ultimi minuti di vita (oltre naturalmente ai suoi assassini), il Napoli non dirà mai di aver riconosciuto Bergamini ma parlerà solo di una persona. Non lo farà nemmeno il 24 novembre 1989, quando si presenterà “spontaneamente” dal Brigadiere Barbuscio a rendere dichiarazioni su quanto visto la sera del 18 novembre; sebbene nei sei giorni intercorsi ha ragionevolmente potuto avere contezza che il giovane da lui visto molto probabilmente era Bergamini, egli davanti a Barbuscio parlerà di una “persona”. Nonostante ciò il Brigadiere Francesco Barbuscio, quando trasmette il verbale in Procura, nella comunicazione scrive di sommarie informazioni rese da persona che ha visto il calciatore scendere dall’auto e dirigersi dalla piazzola verso la strada, dando per scontato che quella persona di cui ha parlato il NAPOLI fosse Donato BERGAMINI.

È interessante notare che a convincere il Napoli a recarsi dai Carabinieri, quel 24 novembre, sia stata la cugina Anna Napoli, avvocato, che durante l’ultima attività d’indagine è stato accertato essere in rapporti col giornalista Marco Cribari.
Secondo la linea difensiva adottata dal cognato di Isabella Internò, Gianluca Tiesi, la testimonianza di Rocco Mario Napoli, della moglie e della cognata che hanno visto Donato Bergamini dall’auto muoversi verso il ciglio della strada, sarebbe una prova della veridicità del racconto di Isabella Internò e dell’intento suicida del calciatore.

Così ad esempio, nel corso di una conversazione telefonica intercorsa con la Dottoressa Liliana Innamorato, nominata consulente da Isabella Internò per gli accertamenti di medicina legale successivi alla riesumazione del cadavere di Bergamini, Gianluca Tiesi per avallare la tesi del suicidio fa riferimento proprio ai “testimoni” che lo hanno visto in piedi: “…Lilià per non dire…per non dire che ci sono testimoni che lo hanno visto in piedi…in piedi…non uno…più di uno…lo hanno visto in piedi…” (Conversazione telefonica del 15/11/2017 tra Gianluca TIESI e Liliana Innamorato).

Ed è a Rocco Mario Napoli che fa esplicito riferimento il giornalista Marco Cribari, amico di Gianluca Tiesi, nel corso di una telefonata intercorsa con il Tiesi allorché discorrono in merito all’assurdità di alcune ricostruzioni giornalistiche sul modo in cui è stato ucciso Donato Bergamini, quando invece è evidente il suicidio. Il Cribari fa riferimento a Napoli quale testimone a favore dell’ipotesi del suicidio, del quale non si tiene conto quando si parla di omicidio: “…mi cancelli i testimoni…mi cancelli Rocco Napoli…” (Conversazione telefonica del 24/08/2017 tra Gianluca Tiesi e Marco Cribari).

La testimonianza di Rocco Napoli va considerata nella sua interezza per non cadere in inopportune manchevolezze. E difatti il resoconto di Napoli del comportamento tenuto dal giovane, subito dopo essere sceso dall’auto, è quello di un Donato Bergamini che, uscito dalla Maserati (parcheggiata in prossimità del centro della piazzola), si dirige verso il ciglio della strada, con un agire calmo e tranquillo, forse un po’ distratto perché presumibilmente sopra pensiero, considerato l’attardarsi dell’incontro e la consapevolezza di non poter rientrare in Motel in tempo per la cena. Donato Bergamini, in quel frangente, non assume alcun atteggiamento premonitore di una sua volontà di togliersi la vita. Rocco Mario Napoli dirà di aver sterzato verso il centro della carreggiata e di aver anche leggermente frenato, ma ha chiarito che lo ha fatto d’istinto (come qualunque guidatore accorto) vedendo il giovane avvicinarsi al ciglio della strada, ma non perché questi avesse tenuto una condotta tale da costringerlo a quella manovra. Rocco Napoli lo ripeterà sempre.

Donato Bergamini è con le mani in tasca, indice di quella tranquillità e calma percepita dal Napoli, volge lo sguardo nella direzione opposta a quella di Taranto, ossia guarda verso Cosenza, ma non accenna ad alcun autostop (Napoli lo dirà nel corso della sua deposizione al processo a carico del camionista e, del resto, non ne ha mai parlato nelle numerose volte in cui è stato ascoltato) invece guarda verso quella direzione come se stesse attendendo l’arrivo di qualcuno, proveniente da quella parte. Rocco NAPOLI è molto preciso e sicuro su questa circostanza.

Ma c’è un ulteriore aspetto interessante in ciò che dice Napoli, sul punto sempre rimasto coerente nel corso degli anni: la posizione della Maserati durante la sosta nella piazzola. Rocco Mario Napoli ha sempre parlato di una macchina in sosta in prossimità del centro della piazzola, poco prima o poco dopo, così come ha sempre riferito anche Raffaele Pisano.

Isabella Internò, di contro, è chiara quando indica il punto dove si trovava la Maserati: vicino al guard-rail (assunzione di informazioni del 23 novembre 1989), più verso il guard-rail che al centro, che alla fine della piazzola (udienza del 30 maggio 1991).

Bisogna chiarire una cosa: se ad oggi abbiamo contezza delle condizioni morfologiche e plano-altimetriche della piazzola al 1989 (oggi rinnovata, diversa e più indietro rispetto al passato), lo si deve esclusivamente ad un filmato girato il giorno dopo dell’omicidio da una troupe della Rai Calabria, che ci mostra le condizioni morfologiche, ma soprattutto allo schizzo realizzato pochi giorni dopo dalla tragedia da Piero Romeo e Fedele Bisceglia, visto che i Carabinieri intervenuti non si presero il disturbo, consegnato alla famiglia Bergamini e che ci da contezza delle dimensioni della piazzola.

La Maserati di Donato Bergamini non poteva assolutamente trovarsi parcheggiata in prossimità del guard-rail, come riferito dalla Internò, giacché le caratteristiche morfologiche del terreno in quella porzione di sterrato, composto da sassi, rovi ed avvallamenti, non avrebbe consentito l’accesso ad un’automobile tanto più ad una dall’assetto ribassato come quello della Maserati spider, che era sì parcheggiata all’interno della piazzola, ma non vicino al guard-rail.

Al di là poi della testimonianza di Rocco Mario Napoli che colloca l’autovettura al centro della piazzola, pur volendo dare credito alla versione di Isabella Internò ipotizzando che lei, allorché ha parlato di vicinanza al guard-rail come luogo dove si trovava parcheggiata la Maserati, si stesse riferendo alla parte terminale, transitabile, della piazzola, la sua versione comunque è inattendibile perché la distanza tra questa posizione e il punto di quiete del corpo di Donato Bergamini è stata misurata in metri 50 all’interno della banchina e in metri 64 a livello della strada. Dai fotogrammi del filmato RAI riproducenti la panoramica del luogo teatro dell’evento, è ben osservabile la notevole distanza tra il punto di statica del corpo di Bergamini e il punto più vicino ove poteva trovarsi parcheggiata la Maserati (ipotizzando come già detto che la Internò quando parla del guard-rail si stesse riferendo al tratto finale, transitabile, della piazzola).

Dallo schizzo di cui sopra, poi, si evince che tale distanza è stata misurata, sulla sede stradale, in metri 64: se Bergamini si fosse tuffato sotto il camion a quell’altezza, sarebbe stato trascinato per molti metri e ben altre lesioni si sarebbero trovare sul cadavere che non quelle localizzate esclusivamente sull’emisoma sinistro, determinate dallo schiacciamento della ruota anteriore destra dell’automezzo caratterizzato da moto lento.

In virtù di ciò, se l’investimento si fosse verificato in corrispondenza del limite massimo in cui poteva essere parcheggiata la Maserati (ipotizzando come già detto che la Inetrnò quando parla del guard-rail si stesse riferendo al tratto finale, transitabile, della piazzola), il corpo di Bergamini, dagli accertamenti esperiti nelle ultime attività d’indagine e sopratutto dal RIS, non si sarebbe dovuto trovare nel punto ove invece giaceva – ossia ad una distanza di 64 metri – ma molto prima, a meno che non si fosse verificato un notevole trascinamento circostanza smentita, però, dalle condizioni del cadavere ancorché dalle perizie e dalle consulenze succedutesi negli anni.

Da qualunque angolazione si analizza la versione fornita dalla Internò se ne dimostra la falsità e l’inconciliabilità con lo stato dei luoghi, con la posizione finale del corpo, con le condizioni del cadavere e con gli esiti delle indagini medico-legali e tecniche, a significare che la sera del 18 novembre 1989 Donato Bergamini non si è tuffato sotto l’autocarro di Raffaele Pisano ma è stato inizialmente soffocato e poi, una volta privo di vita o in limine vitae, è stato deposto in posizione prona sull’asfalto in un punto localizzabile in prossimità della parte iniziale del guard-rail.

Dalla deposizione di Rocco Mario Napoli, che si è trovato a transitare al km 401 della statale 106 Ionica qualche minuto prima che Donato Bergamini venisse ucciso, sappiamo che la Maserati si trovava parcheggiata al centro della piazzola (deposizione resa al processo a carico di Raffaele Pisano nell’udienza del 7 maggio 1991). Considerando la reale posizione della Maserati all’interno della piazzola, ovvero al centro della stessa, aumenta la distanza rispetto al punto in cui giaceva il corpo esanime di Donato BERGAMINI. Dobbiamo ricordare che la porzione di sterrato transitabile, in linea retta, così come misurata da Padre Fedele Bisceglia, era lunga metri 70. Sommando i 64 metri circa, corrispondenti alla distanza tra il limite massimo transitabile dello spiazzo e il punto dove giaceva il corpo di Donato BERGAMINI, ai 35 metri circa corrispondenti alla metà della lunghezza della piazzola transitabile (dichiarazione di Napoli il quale ha affermato che la Maserati era parcheggiata al centro della piazzola), Donato BERGAMINI al momento del “tuffo” riferito da Isabella Internò si sarebbe trovato ad una distanza di circa 90/100 metri dalla posizione finale ove venne rinvenuto il suo cadavere, a significare che per tutta questa distanza sarebbe stato trascinato dall’autocarro di Raffaele Pisano.

Il camionista

Oltretutto dobbiamo sottolineare che Raffaele Pisano in sede di interrogatorio del 6 dicembre 1989 manifesterà la sua “meraviglia” al dott. Ottavio Abbate perché, nonostante il percorso effettuato dal camion dopo l’impatto, il corpo non era stato superato dalla ruota medesima. Ricordiamo che il camionista aveva dichiarato che la vittima si trovava davanti il muso della macchina – parcheggiata dice Pisano al termine/un po’ oltre il centro della piazzola – e da lì repentinamente si sarebbe buttato sotto la ruota anteriore destra del suo camion. Il camionista, per spiegare questa contraddizione, riterrà verosimile che il corpo fosse rimasto incastrato sotto una ruota per via della frenata effettuata e della strada sdrucciolevole. Ma in questo caso, come già detto, si sarebbe verificato un notevole trascinamento e le lesioni sul cadavere avrebbero avuto ben altra natura, e non sarebbero stati monolocali, localizzati esclusivamente nella zona addomino-perineale. Isabella Internò dice il falso quando afferma che la Maserati era parcheggiata vicino al guard-rail. In realtà l’auto era stata parcheggiata dal povero Donato Bergamini al centro dello sterrato (dichiarazione di Rocco Mario Napoli all’udienza del 7 maggio 1991), ad una distanza dal punto di quiete del corpo di circa 90/100 metri.

Sono proprio le parole pronunciate da Isabella Internò, mentre parla con il marito durante una conversazione captata in automobile il 29/11/2011, a dimostrare ulteriormente che diversamente da quanto da lei stessa asserito in tutti questi anni, la Maserati non si trovava parcheggiata vicino al guard-rail – in questo caso non si sarebbe trovata distante dal luogo in cui giaceva il corpo di Donato Bergamini, anzi piuttosto vicino – bensì al centro della piazzola, laddove l’aveva parcheggiata il calciatore, ad una distanza dal punto dove si era fermato il camion di circa 90/100 metri.

Isabella Internò quel 29 novembre 2011, dice al marito di essersi recata con la macchina vicino al punto dove si era fermato l’autocarro, perché c’era lontano!! Se l’autovettura Maserati si fosse trovata parcheggiata vicino o comunque in prossimità del guard-rail, come ha sempre falsamente dichiarato Isabella Internò vale a dire non distante dal punto di quiete del cadavere, non ci sarebbe stato bisogno di arrivarci a bordo dell’auto. Al contrario, atteso il tragico momento, per logicità ci si sarebbe aspettati che Isabella Internò spettatrice del “suicidio” di Bergamini si precipitasse a piedi quantomeno nei pressi dell’autocarro, per accertare le condizioni del calciatore o prendere contatti con l’autista del camion. Non si capisce come questo testimone sia, per Cribari e Tiesi, una delle prove del suicidio. Magari lo capiremo meglio oggi nel corso della 58^ udienza del processo.