Tradimento del referendum sull’acqua pubblica: l’Italia finisce davanti alla Corte Europea

di Stefano Baudino – lindipendente.online – Il forum dei movimenti per l’acqua pubblica ricorrerà alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché l’Italia sia condannata per violazione dell’esito referendario del 2011 – quello in cui il popolò stabilì che l’acqua restasse un bene di natura esclusivamente pubblica e che da essa non si potesse trarre profitto – a causa dell’aumento delle spese prodotto da tale violazione e del peggioramento della qualità di vita subìto da persone e famiglie. È stato deciso sabato scorso, su proposta del docente di Diritto costituzionale dell’Università Federico II Alberto Lucarelli, nella cornice dell’assemblea nazionale dei movimenti per l’acqua pubblica, cui ha preso parte anche il comboniano Alex Zanotelli, da sempre in prima linea nella battaglia contro la privatizzazione dell’acqua.

Il 13 giugno 2011, oltre 26 milioni di cittadini italiani sancirono che l’acqua avrebbe dovuto essere un bene pubblico libero dalle logiche del profitto. Ma dopo 13 anni, nonostante la vittoria schiacciante del ‘sì’ (95%), quello che si profila è un quadro fatto di ricorsi, decreti-legge e vuoti normativi. Con il risultato che l’acqua non è ancora un bene comune, il referendum è stato aggirato e la volontà popolare tradita. Per questo motivo, ora il forum dei movimenti per l’acqua pubblica è intenzionato a rivolgersi direttamente alla Corte Europea dei Diritti Umani. «Poiché viviamo nella illegalità dello Stato, il quale non rispetta le leggi, la Costituzione e l’esito referendario – ha affermato Lucarelli – conviene si vada direttamente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il tradimento del referendum ha fatto sì che lo Stato non ponesse freni alle privatizzazioni e ciò ha determinato incrementi medi delle tariffe pari al 18%». A prendere la parola nel corso dell’evento è stato anche padre Alex Zanotelli, il quale ha lanciato l’allarme su Acque del Sud spa, subentrata dal primo gennaio 2024 all’Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e Trasformazione Fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia (Eipli), e sulle pesanti ripercussioni che il Sud Italia potrebbe subire a causa delle scelte del governo sulla gestione dell’acqua. «Le azioni sono del ministero dell’Economia e delle Finanze, che le trasferirà fino al 30% a soggetti privati: è chiaro il disegno di privatizzare il settore della grande adduzione nel Mezzogiorno d’Italia – ha spiegato Zanotelli -. Un progetto che che va perfino oltre quello di Draghi, il quale voleva affidare la gestione dell’acqua al Sud alle multiservizi del nord: Hera, Acea, A2A». Il tema era già stato politicamente sollevato nell’estate del 2023 da Europa Verde, che aveva parlato di una “mossa inaccettabile” da parte del governo Meloni.

In occasione del decennale dal referendum “tradito”, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua aveva esaminato il “piano degli investimenti nazionali” sull’acqua e la struttura delle bollette pagate dai cittadini, evidenziando copiosi addebiti a carico della collettività ed enormi margini di guadagno a beneficio dei gestori. Facendo riferimento allo schema del ‘Metodo tariffario idrico 2020-2023’, approvato nel 2019 e predisposto dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), il Forum ha raccolto i Piani d’ambito pubblicati da 29 delle 259 gestioni esistenti a livello nazionale, confrontando e sommando le diverse componenti dei ‘costi’ (gli investimenti) e dei ‘ricavi’ (gli addebiti in tariffa) dei gestori in un arco temporale che va, all’incirca, dal 2020 al 2049. Dall’analisi emerse che, a fronte di 13,8 miliardi di euro di investimenti netti programmati, gli addebiti in tariffa riferiti unicamente agli investimenti sono risultati pari a 16 miliardi, dimostrando come i ricavi dei gestori siano ancora maggiori dei costi.

Aggiungendo poi un valore residuo – pari al valore degli investimenti effettuati di cui il gestore non ha ancora recuperato il costo attraverso gli ammortamenti annuali come previsto dalla legge – e aggiustando l’analisi mediante l’esclusione di voci poi rivalutate come ‘non corrette’, l’utile netto per i gestori dei 29 ambiti esaminati è risultato pari a 4,6 miliardi di euro. Un valore enorme che, tra l’altro, ha tenuto conto dei soli investimenti. Se si considerassero, infatti, anche i cosiddetti ‘ulteriori oneri finanziari e fiscali’ – o meglio, l’’abrogata remunerazione del capitale investito’ sotto mentite spoglie – si toccherebbe quota 9,5 miliardi.