Collettivo Stipaturi: “Autonomia differenziata, diseguaglianze e altre sciocchezze”

COMUNICATO STAMPA COLLETTIVO STIPATURI 
In questa ultima settimana abbiamo letto e sentito tante opinioni sull’autonomia differenziata dopo la sua approvazione alla Camera dei deputati, alcune delle quali facciamo fatica a comprendere ma siamo certi si tratti di un nostro limite.

Ci troviamo di fronte a un provvedimento grave che tende chiaramente ad aumentare le diseguaglianze per dividere il Paese. La legge è stata approvata  lo scorso mercoledì 19 giugno con 172 voti favorevoli, 99 voti contrari e un astenuto dopo l’avallo al Senato avvenuto a gennaio.
L’attuale provvedimento, fortemente voluto dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli della Lega, è stato calendarizzato a pie’ sospinto dall’attuale maggioranza parlamentare e aspramente criticato dal centrosinistra che, tuttavia, a nostro parere, farebbe meglio a tacere poiché responsabile di aver gettato le basi di questa riforma così sconsiderata.

DOVE NASCE QUESTA RIFORMA

Era il lontano 2001 quando Massimo D’Alema, nella sua duplice veste di presidente del consiglio e dei DS, mise mano a colpi di maggioranza al Titolo V della Costituzione, ossia a quella parte della Costituzione dedicata alle autonomie locali – regioni, province e comuni – e alle loro relative competenze.
D’Alema contava di ottenere l’appoggio dei deputati leghisti e a questo scopo si era espresso favorevolmente in più di un’occasione nei loro confronti, in maniera risibile, arrivando a definirli “costola della sinistra”. Lo scopo di quelle dichiarazioni, fin troppo palese, era quello di raggiungere la maggioranza qualificata dei 2/3 dei deputati onde evitare un referendum confermativo sempre problematico; referendum che comunque ci fu il 7 ottobre del 2001, quando il 64% degli elettori approvarono la riforma.

La scellerata scelta di approvare una riforma costituzionale a colpi di maggioranza tra le tante conseguenze nefaste creò, come corollario, un pericoloso precedente. Negli anni successivi, infatti, sembrò normale a maggioranze sempre più raccogliticce – strette intorno a leader via via sempre più incapaci di affrontare e risolvere i problemi di uno Stato sempre più allo sbando – cercare di sopravvivere incolpando l’assetto legislativo e istituzionale determinato dalla Costituzione e di conseguenza usare lo strumento delle riforme costituzionali per prolungare la propria vita politica.
Quale migliore occasione allora per presidenti del consiglio successivi, sempre più incapaci, ma sempre più vanagloriosi (Berlusconi, il suo patetico emule Renzi e ora Meloni) di intestarsi, con molto coraggio, sguaiata cialtronaggine e senza nessuno sprezzo del ridicolo, riforme di ogni sorta definendole (mentendo!) come imprescindibili per il futuro del Paese.

Dalla riforma del 2001 le regioni hanno avuto una maggiore autonomia finanziaria, cioè hanno potuto decidere come spendere i loro soldi e sono state conferite loro maggiori competenze, basti pensare alla gestione della sanità, con i risultati disastrosi che ne sono derivati.
Questo processo ha creato di fatto 21 sistemi sanitari differenti sul territorio nazionale, dilapidando un immenso patrimonio pubblico – fatto di lavoratori, tecnologie, infrastrutture –  indebitando le regioni e soprattutto nel meridione abbassando la qualità dei servizi erogati.

Venendo a tempi più recenti, nel febbraio 2018, il governo Gentiloni (PD) e i presidenti delle regioni Lombardia (Lega Nord), Veneto (Lega Nord) e Emilia-Romagna (PD) siglarono un accordo preliminare per l’attribuzione di maggiori forme di autonomia su specifici campi e la gestione dei relativi fondi.
Quando si tratta di accaparrarsi finanziamenti alle spalle delle regioni più deboli, destra e sinistra trovano facilmente un accordo, hanno un’identità di veduta; si fotta pure la solidarietà nazionale!

IN COSA CONSISTE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Con la recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata si stabiliscono le regole e le procedure con cui le regioni potranno chiedere ulteriore autonomia su specifiche questioni senza tuttavia determinare – per ora – in concreto il trasferimento delle competenze che sarà ultimato solo una volta che si sarà dichiarata conclusa l’operazione di definizione dei lep (livelli essenziali delle prestazioni), cioè la determinazione di tutte quelle prestazioni che lo Stato si deve impegnare a erogare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale poiché riguardano diritti civili e sociali costituzionalmente riconosciuti a tutti i cittadini..

Per l’individuazione dei lep è stata istituita un’apposita commissione formata da 61 esperti e presieduta dall’ex giudice della Corte Costituzionale Sabino Cassese il quale, in una recente intervista, ha chiarito come definire semplicemente i lep non sia sufficiente, occorrerà adeguatamente finanziarli e istituire delle centrali di monitoraggio per garantire uguaglianza di trattamento ai cittadini di tutte le regioni.
Anche la Banca d’Italia è stata chiamata ad esprimersi e in Senato ha posto l’attenzione sul fatto che la sola definizione dei lep non possa implicare automaticamente l’adeguato finanziamento e l’effettiva erogazione su tutto il territorio nazionale di quelle prestazioni individuate come essenziali.

In una fase successiva le regioni a statuto ordinario che raggiungeranno i lep potranno avviare una trattativa istituzionale con il Presidente del Consiglio e con il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie per richiedere l’attivazione dell’autonomia differenziata che, in soldoni, permetterà ad esse non solo di attuare scelte arbitrarie su questioni che a nostro avviso dovrebbero essere nazionali come scuola, sanità, lavoro, energia, ambiente … ma consentirà loro di trattenere gran parte del gettito fiscale per reinvestirlo nel proprio territorio, ponendo di fatto fine alla redistribuzione nazionale delle risorse (perequazione) che garantiva un minimo di equilibrio tra nord e sud.

CONSEGUENZE PER IL MERIDIONE

È chiaro come questa riforma sia portatrice di un ulteriore aumento delle disuguaglianze tra i vari territori del Paese e di un forte ridimensionamento di fondi e di risorse disponibili per l’intero Mezzogiorno: le ripercussioni saranno tragiche su sanità, istruzione, infrastrutture già fortemente sottodimensionate e in profonda crisi.
L’autonomia differenziata comporterà l’abbandono definitivo delle regioni del sud-Italia che senza adeguati finanziamenti non potranno mai raggiungere i lep e se anche ci riuscissero non riuscirebbero a garantire, a causa del minor gettito rispetto alle regioni del nord industrializzato, pari opportunità e condizioni di vita dignitosa ai propri cittadini.

Occorre organizzare la protesta, la critica contro questa scellerata riforma che spaccherà ulteriormente il paese, con presidi, manifestazioni, discussioni pubbliche in cui sviscerare i punti deboli della riforma e sensibilizzare la popolazione nella ricerca di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo politico, per costruire una società fondata sulla giustizia sociale, sulla solidarietà e la coesione nazionale.

ISTRUIAMOCI, AGITIAMOCI, ORGANIZZIAMOCI!