Il 9 maggio dello scorso anno, durante la prima seduta della commissione bicamerale sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori il fratello della Vatican Girl Pietro ha parlato di alcune chat in cui si discuteva del corpo della sorella. E ha detto che le discussioni su Whatsapp erano tra Francesca Chaouqui e monsignor Angel Vallejo Balda. Gli scambi risalgono al 2014. All’epoca Chaouqui era membro della Cosea, la Commissione di Papa Francesco per mettere in ordine i conti del Vaticano, Balda ne era il presidente. Ma era anche segretario della prefettura degli Affari Economici. Nel novembre 2015 Balda e Chaouqui sono stati arrestati in Vatileaks 2, con l’accusa di aver consegnato ai giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi documenti segreti. E il giornale Domani pubblicava le chat proprio in un pezzo firmato da Fittipaldi. Oggi queste vicende sono tornate di scottante attualità all’indomani della dipartita di Papa Francesco e alla vigilia della nomina del suo successore.
«Quella roba della Orlandi deve sparire»
Chaouqui, a cui era stato impedito di deporre una seconda volta nel processo Becciu perché aveva «avuto un atteggiamento irriguardoso», era molto amica di Maria Giovanna Maglie, la giornalista che aveva dedicato un libro alla scomparsa di Orlandi. Nel libro si parlava proprio di quanto raccontano questi messaggi Whatsapp. Secondo la sua tesi Balda, condannato dal Vaticano per aver divulgato documenti segreti, ha in uso una cassetta di sicurezza nella sede del Banco Santander a Madrid «dove sarebbero conservati tutti i documenti trafugati». E che chi ha redatto la lettera poi resa pubblica da Fittipaldi «o non conosce le procedure del Vaticano oppure le conosce talmente bene da essere in grado di modificarle ad arte per far pensare a un falso» allo scopo di «inviare un segnale ben preciso». Tutto si basa sulla “nota spese” di cinque pagine attribuita al Vaticano in cui si prefigurava il rapimento di Orlandi e il suo trasporto a Londra.
Il documento
Purtroppo la nota spese manca di quello che la renderebbe credibile: le tante pagine di fatture in allegato che venivano annunciate nel documento. E che avrebbero permesso di cominciare a riscontrare le accuse. Nelle chat tra Balda e Chaouqui si parla di Orlandi: «A settembre dobbiamo far sparire quella cosa della Orlandi e pagare i tombaroli. Questo devi dire al Papa. Ora che torniamo si lavora all’archivio. E basta giornali e follie varie», scrive Chaouqui. «Quella roba della Orlandi deve sparire e tu devi farti gli affari tuoi. Ho visto Giani, io non credo che sia come dici tu su di lui. Quello che hanno fatto è un reato e lui lo deve sapere. Fra poco vengo, ma tu dove sei?», è un altro messaggio mandato a Balda. Che risponde in un italiano spagnoleggiante: «En casa. Non dici niente a Ciani. Orlandi sono cose che vanno da serio. El cardinale a (sic) detto che doviamo mettere tutta la forza in questo, el Papa con noi».
«Brucia questa conversazione»
In un altro messaggio Chaouqui si rivolge a Balda: «Brucia questa conversazione appena leggi. Fai le copie almeno di quella cosa di Orlandi e le mando in procura in forma anonima. Questa roba finisce male». Sempre secondo Domani alcune fonti vaticane adesso sostengono che delle 197 pagine di fatture allegate se ne è salvata una. Ritrovata da chi tra 2013 e 2014 lavorava o frequentava gli uffici di Balda. Si tratta della fattura del pagamento di un marmista che a fine anni Novanta avrebbe scolpito un angelo per adornare una tomba che si trova nel Cimitero Teutonico. La stessa che fu aperta nel 2019 su insistenza della famiglia Orlandi senza trovare alcuna traccia di Emanuela. Ma questa fattura, anche se esistesse, non potrebbe essere in alcun modo collegata direttamente alla scomparsa di Orlandi. Perché, appunto, al massimo prova che un marmista è stato pagato per aver scolpito un angelo in Vaticano.
Tombaroli e georadar
I messaggi tra Chaouqui e Balda sembrano raccontare che qualcuno si è mosso con «tombaroli» e «georadar» per identificare la tomba di Orlandi in Vaticano. E che i due sapessero dell’operazione. Chaouqui parla anche di una cassa di documenti segreti. Sarebbe la stessa che secondo Pietro Orlandi sarebbe stata nascosta a Santa Maria Maggiore. Chaouqui fa sapere che in quanto ex commissario Cosea lei è ancora sotto segreto pontificio. E quindi non può parlare delle chat. A fine dicembre 2023 Balda è stato interrogato in Vaticano sulle chat. Ha negato la paternità dei messaggi su Whatsapp. Ma sulla cassa di documenti ha detto che anche lui è ancora sotto segreto pontificio. E quindi del contenuto dell’archivio non può parlare. A meno che non lo autorizzi Papa Francesco. In ultimo, Chaouqui in un suo libro aveva parlato di documenti che le avevano fatto comprendere il destino di Orlandi. Ma senza fare alcun riferimento a tombaroli e georadar.
LA REPLICA DI CHAOUQUI: “LA CASSA NON L’HO APERTA MA PIETRO NON MI CREDE”
A circa 24 ore dall’ultimo messaggio sui social, torna a parlare Francesca Immacolata Chaouqui. Con un lungo post affidato ai social, cerca di fare chiarezza sul suo ruolo nella scomparsa di Emanuela Orlandi e sul suo bisogno di “essere lasciata in pace” espresso da lei stessa ieri.
“Quando chiedo di essere lasciata in pace lungi da me prendere le distanze da questa vicenda o dal supporto che posso dare a Pietro – precisa – Vorrei essere lasciata in pace dal presupposto che io sappia qualcosa che non dico. Sarei complice di quello che credo che sia un omicidio e starei proteggendo degli assassini di una ragazza e questo non lo consento a nessuno”.
Chaouqui sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: i chiarimenti sulle chat
Punto dopo punto, Chaouqui decide di dare delle precisazioni su quanto emerso sul suo conto nel caso Orlandi. Il primo riferimento è alle chat del 2014. “A settembre dobbiamo far sparire quella cosa della Orlandi e pagare i tombaroli. Di questo devi parlare al Papa… Ora che torniamo si lavora all’archivio”, si leggeva.
“Quando incitavo monsignor Balda a far sparire quella roba della Orlandi, mi riferivo ai cinque fogli di Londra. Essi tornarono misteriosamente dopo che monsignor Balda aveva inscenato un furto di documenti dalla cassaforte dell’archivio Cosea – precisa oggi nel post sui social Chaouqui – Non erano chiari quei fogli e non mi fidavo di cosa il monsignore potesse farci. Ritenevo che sarebbero stati (come poi furono) una pista capace solo di dare una falsa speranza”.
La misteriosa cassa consegnata al cardinale e “i tombaroli da pagare”
L’intervento di Chaouqui continua con precisazioni sulla misteriosa cassa, quella di cui ha parlato anche il monsignor Miserachs, maestro di canto corale di Emanuela Orlandi, nella sua audizione.
“È stata portata a Santa Maria Maggiore e mi hanno detto che conteneva documenti di archivio importanti, alcuni che dopo il furto non erano più al sicuro alla Prefettura e altri che erano trovati dopo l’apertura della tomba degli angeli. Ho sempre detto a Pietro che non ho aperto la cassa, ma non mi crede su questo. Eppure è così – sottolinea – La gerarchia in Vaticano non consente tutto, men che meno ad una donna”.
Per anni la cassa fu cercata in Vaticano, senza successo: “Sulla tomba degli angeli Balda mi disse che aveva fatto aprire la tomba perché poteva essere legata alla Orlandi secondo sue fonti. Se è vero che lo ha fatto non so: lui ora nega e anche in Vaticano negano”.
La sua frase nelle chat riferita al pagamento dei tombaroli sarebbe collegata proprio a questa vicenda: “Intendevo che chi aveva aperto la tomba doveva essere pagato: io effettuavo le disposizioni al segretario per fare i pagamenti, ma non mi fu mai data la fattura di queste persone e neanche quella del georadar usati per individuare la camera segreta di cui Balda mi aveva parlato e che di fatto esisteva – specifica ancora Chaouqui – La tomba anni dopo fu comunque aperta da Pietro su autorizzazione di Becciu. Non hanno trovato niente. In tutto ciò solo dopo un anno scoprii che il furto era finto e monsignor Balda un malato di mente”, aggiunge poi, senza mezzi termini.
Emanuela Orlandi è stata a Londra ma è morta in Italia
Prima di concludere la nota con le sue dichiarazioni mezzo social, Chaouqui decide di condividere la sua opinione: “Non ho modo di distinguere la verità o il falso nei racconti deliranti che mi venivano offerti e neanche districarmi troppo tra gli indizi visto che era un continuo gioco di specchi di cose vere e cose false – esordisce – Io penso (ed è esclusivamente un mio pensiero senza nessuna prova) che sua sorella sia morta per mano di chi l’ha rapita”.
Poi si mostra a favore della cosiddetta pista di Londra (bocciata da Pino Nicotri in commissione d’inchiesta): “Penso che non sia morta subito, penso che a Londra ci sia stata davvero ma che sia morta in Italia. Penso anzi ne sono certissima che papa Benedetto e Papa Francesco non sappiano assolutamente come e dove sia morta, penso che chi sapeva sia morto, chi è vivo non parlerà mai se sa qualcosa”.
Prima di concludere, Chaouqui non usa mezzi termini: “Ciò che si poteva fare dopo 40 anni è stato fatto: c’è stata ogni sorta di strumentalizzazione, chi ha potuto ne ha tratto visibilità o potere anche ricattando, vedi Monsignor Balda – continua – Io credo che il Papa e il Vaticano abbiano fatto il possibile. Pietro non crede assolutamente che sia così. O, forse, semplicemente spera per trovare una risposta alla domanda che nessuno può capire fino in fondo quanto sia dolorosa: Dov’è mia sorella?”.