Il futuro del M5s: tre strade davanti al Movimento

(di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it) – Le immagini di Giuseppe Conte al Pride Park di Napoli accanto a Elly Schlein hanno dimostrato che un’“alleanza arcobaleno finalmente coesa” è possibile, ma hanno anche mostrato un leader dei 5 Stelle non troppo a suo agio in quel contesto. È giusto (e naturale) che Conte partecipi a eventi simili, perché quelle battaglie sono da sempre anche le sue, ma è innegabile che contesti simili appartengano più a Schlein che non all’ex presidente del Consiglio. Conte rischia quindi col passare del tempo di apparire come un surrogato di Schlein, così come i 5 Stelle rischiano di apparire un surrogato del Pd. Ciò rinnova i dubbi sul futuro del M5S, che ha – di fatto – tre strade davanti.

Si continua con Conte. È la strada oggi intrapresa e, allo stato attuale, la migliore (o la meno peggio). Conte avrà fatto i suoi errori, ma non si capisce bene quali colpe dovrebbe scontare per il risultato negativo alle Europee, competizione elettorale che mai ha arriso ai 5 Stelle. Quali sarebbero gli errori da attribuire interamente a Conte? E soprattutto c’è davvero qualcuno convinto che, con un altro leader, il M5S sarebbe andato meglio? Conte resta la carta più spendibile nel mazzo grillino, ma i problemi esistono; candidati (e classe dirigente) molto spesso impalpabili; errori del passato (su tutti l’appoggio a Draghi); e il ruolo oggi subalterno nei confronti di Schlein, che su molte cose (ma non sullla guerra) è uguale a Conte. Il leader dei 5 stelle deve trovare una via di mezzo tra il “campo largo alla sarda” (unica alternativa alle destre) e una sua indipendenza politica, altrimenti diviene la brutta copia del Pd. E a quel punto gli elettori votano l’originale.

L’opzione Appendino. È una variabile che piace a parte della stampa, ma non saprei dire a quanti elettori. È innegabile che Appendino sia brava, competente e preparata. È senz’altro l’unica a poter sostituire Conte (tra gli iscritti al Movimento). E c’è pure la suggestione – più mediatica che reale – della leader donna che fronteggia altre leader donna, in un triello tutto al femminile con Meloni e Schlein. Tutto molto cool, siamo d’accordo. Ma Appendino prenderebbe più voti di Conte? È persino più a sinistra di lui, quindi il rischio di essere “un Pd in diesis minore” rischierebbe persino di aumentare.

La carta Di Battista. Il pasionario ex 5 Stelle sta vivendo un ottimo momento: la storia gli sta spesso dando ragione (di sicuro su Draghi e Gaza), i suoi libri vendono, gli spettacoli teatrali vanno bene, le sue ospitate da Floris registrano ottimi ascolti. Molti invocano il suo ritorno, ma chi lo fa non ha capito nulla di lui. Per due motivi. Il primo è che il suo M5S è morto e sepolto, e mai e poi mai “Dibba” tornerà nel movimento (dove peraltro sono in tanti a odiarlo). Il secondo è che Di Battista sta benissimo così: guadagna bene, è felice, può fare i suoi reportage (la cosa che più ama al mondo) e non ha alcuna voglia a breve termine di tornare in parlamento. L’unica ipotesi di una sua seconda vita da deputato può avere luogo nel 2027 (non prima), alle prossime elezioni nazionali, ma solo se nel frattempo la sua associazione Schierarsi sarà cresciuta e potrà divenire una sorta di “M5S 2.0 degli albori”. Non si sono altre opzioni. Allo stato attuale Di Battista non cambierebbe mai la sua vita con quella di un parlamentare. Un suo ritorno nei 5 Stelle è meno probabile di un Nobel a Gasparri. E chi vede in lui l’unica alternativa a Conte forse non sbaglia, ma deve capire che chi sceglie Di Battista sceglie una nuova strada (che è poi vecchia, perché coincide col M5S dei primordi di Casaleggio). Una strada anti-Pd. E quindi sceglie il de profundis del “brand” 5 Stelle.