La prima volta che la maggior parte dei cosentini (eravamo in 400) aveva ammirato Dario Brunori su un palco “ufficiale” era il 27 dicembre del 2010, al vecchio Teatro Morelli. Si celebrava il “Bergamini Day” ad un anno di distanza dalla manifestazione del 2009 che in pratica aveva “riaperto” il caso e rivelato a tutta l’Italia che Denis, il calciatore del Cosenza fatto passare per suicida dalla massoneria e dai poteri forti della parte oscura di questa città, invece era stato ucciso e non si era affatto suicidato come afferma ancora oggi Isabella Internò, la mantide di Surdo, condannata a 16 anni persino dal porto delle nebbie appena quattro mesi fa. Dario è sempre stato un grande tifoso del Cosenza e per lui era stato naturale aderire all’invito dell’associazione “Verità per Denis”.
Dario Brunori era già Brunori Sas ma era ancora agli inizi della carriera e lo conoscevamo in pochi. Appena un anno prima aveva adottato il moniker (così dicono i manuali) Brunori Sas ed aveva formato il nucleo centrale della sua band con Dario Della Rossa alle tastiere, Mirko Onofrio al sax e ai fiati, Massimo Palermo alla batteria e ovviamente Simona Marrazzo, la sua dolce metà, a cori e percussioni, Certo, aveva già pubblicato Vol.1 e aveva persino già vinto il Premio Ciampi e anche la Targa Tenco come migliore esordiente ma ancora non era diventato “famoso”. Insieme a lui c’erano la “Spedito Band” (ex Polystil), i Nia Punx, Silvio Stellato e Robert Caruso. Non era un caso. Dario non faceva proprio lo stesso genere ma aveva ampiamente sposato e condiviso la causa del nostro Campione assassinato e i due pezzi che suonò insieme a gran parte della sua storica band (tra i quali “Guardia 82”) avevano decisamente lasciato il segno. In tanti avevamo capito di avere assistito a uno dei primi passi della carriera di un grande cantautore e musicista e dei suoi fedelissimi.
Quasi 15 anni dopo, nell’incontro con la stampa all’Unical che precede la sua partenza per Sanremo è inevitabile pensare a quella sera e a cascata a tutto quello che è accaduto successivamente ed è un po’ come tornare “ragazzi”. Da allora Brunori Sas ne ha fatta di strada, fino ad approdare al fatidico Sanremo, la prova di maturità.
La prima domanda non può che prendere spunto dalle “pagelle” degli addetti ai lavori. Sono tanti quelli che hanno accostato Brunori a De Gregori. Partendo naturalmente dal Corsera, che ci ha fatto anche un bel titolo “Brunori pare De Gregori”. “… Alla fine il centro spirituale di un brano melodicamente degregoriano (con l’aria sognante di Sinigallia che produce) però è Brunori…”.
Ma non solo il Corriere. “… Sfidiamo chiunque a chiudere gli occhi e non pensare che sia De Gregori a cantare nei primi 30 secondi del pezzo. Non che sia un insulto, tutt’altro. E infatti il pezzo di Dario è bello, bellissimo, come sempre…” (Rockit). “Una canzone d’altri tempi, degregoriana…” (Il Messaggero). “… Canguro fra passato e futuro, dentro una canzone d’amore, De Gregori, occhi di donna, l’albero delle noci della sua infanzia, la Calabria, terra crudele, la differenza fra il sangue e il vino…” (Quotidiano Nazionale). E anche Fanpage scrive che c’è un riferimento ai grandi classici e mette tra parentesi e con punto interrogativo retorico De Gregori…
Dario, non sarai arrabbiato se ti hanno paragonato a De Gregori.
Ma figurati! Essere soltanto avvicinato a De Gregori è come se ad un calciatore dicessero che somiglia a Platini! Mi ha fatto molto piacere e sono felice che lo abbiano scritto in tanti perché è quella la scuola a cui faccio riferimento. Certo, io sono più “dalliano” ma non tanto per un discorso musicale quanto piuttosto perché mi sono sempre sentito vicino alla sua “giocosità” se posso utilizzare questo termine.
Ma perché dicono che somiglia allo stile di De Gregori?
Beh, la canzone parte con piano e voce ed è stato quasi naturale, anche per me stesso, scoprire qualche affinità con lo stile di De Gregori. Poi c’è qualche richiamo anche ai temi successivi che sono più da ballad o da midtempo ma è chiaro che se il mio orizzonte di riferimento è quello cantautorale, col pensiero si ritorna sempre a loro, ai grandi maestri della nostra tradizione come De Gregori e Dalla, è del tutto inevitabile e va benissimo così, ci mancherebbe.
Per un cantante calabrese andare a Sanremo equivale alla Nazionale per un calciatore. E poiché siamo nella sfera dei cantautori sei il terzo calabrese ad arrivare a Sanremo dopo Rino Gaetano e Sergio Cammariere.
Il mio legame con la poetica di Rino Gaetano è antico quanto quello con Dalla e De Gregori. Rino Gaetano è stato molto più calabrese di quanto siamo noi pur non avendo vissuto molto nella nostra terra. E visto che ho parlato di antichità, in lui ho sempre trovato qualcosa di ancestrale, che non poteva non derivargli dall’origine calabrese. Un tratto specifico che ritrovo anche in Sergio Cammariere, anche se lui è più raffinato ed elegante ma ha tanti punti in comune con Rino (Sergio Cammariere è il cugino di Rino Gaetano, pur se non si sono mai conosciuti. La madre di Rino è nata da una relazione extraconiugale del nonno di Cammariere, ndr).
Dario Brunori ha omaggiato Rino Gaetano a Roccella nel Jova Beach Party dell’estate del 2019. Insieme a Jovanotti hanno intonato “Ma il cielo è sempre più blu”, senza dubbio il manifesto principale di Rino Gaetano. L’esecuzione-omaggio fatta dal palco del JovaBeachParty è stata un grande inno alla calabresità davanti a una folla oceanica (oltre 30 mila). Quella stessa sera Jovanotti ha cantato con Dario anche la sua “La Verità” e ha continuato ad omaggiare la Calabria insieme a Gianni Morandi, che ha cantato “A mano a mano” nella versione di Rino e ha anche ricordato Mino Reitano, con il quale ha condiviso soprattutto tante edizioni di Canzonissima.
IL VIDEO (BRUNORI E JOVANOTTI MA IL CIELO E’ SEMPRE PIU’ BLU)
Non glielo abbiamo chiesto, ma dopo aver parlato di Rino Gaetano e Sergio Cammariere, Brunori ha giustamente citato altri due grandi cantautori calabresi.
Tra i cantautori calabresi ai quali mi ispiro e con il quale ho anche uno splendido rapporto di amicizia c’è Peppe Voltarelli, cosentino della costa jonica, di Mirto Crosia. Bravissimo, sensibile, ancora più “ancestrale” di Rino Gaetano e che sta riscuotendo uno strameritato successo ormai da diversi anni. Lui si richiama alla tradizione folk e popolare di Otello Profazio, recentemente scomparso, un altro grande cantautore calabrese, che non ha fatto Sanremo (si è fermato a “Canzonissima”, ndr) ma ha lasciato una traccia indelebile.
Si chiude in leggerezza. La Calabria tifa tutta per Brunori e lui pensa al suo ritorno dopo il Festival: “Mi immagino su un carro, tipo la Madonna del Pilerio… voglio girare per le strade con le persone che chiedono la benedizione… mi fa piacere questo genuino entusiasmo. Mi sembra quasi una cosa calcistica come il Cosenza… sono felice, non mi aspettavo questo tipo di partecipazione. C’è un’ironia sottile che mi rende fiero di appartenere a questa cultura…. divertimento certo ma anche un filo di sarcasmo tipico di chi non è mai al centro dell’attenzione: ci siamo anche noi, finalmente. E’ una bella spinta popolare”.