Scilla. La cena “spregiudicata” di Cannizzaro&Occhiuto nel localino dei fratelli Paladino

Per accogliere al meglio il Ceo di Ryanair e “festeggiare” il molto presunto decollo dell’aeroporto di Reggio, Ciccio Cannizzaro ha calato l’asso: cena luculliana con Occhiuto e pochi altri intimi al Bleu de Toi a Chianalea di Scilla. Un luogo incantevole ma un locale a dir poco chiacchierato con tanto di scontata interdittiva antimafia e i titolari – di fatto – a processo per associazione a delinquere di stampo mafioso (i fratelli Paladino di Scilla).

I deus ex machina del localino sono i fratelli Giuseppe e Giovanni Paladino ed il ristorante era stato chiuso nell’ambito dell’indagine che ha portato allo scioglimento del comune di Scilla con numerosi arresti. Il Bleu de Toi, secondo l’inchiesta, è il ristorante dove si riunivano i boss (sciacqualattughe) del territorio con quelli degli Alvaro, giusto per chiarire di cosa stiamo parlando.
Dopo la disavventura, i fratelli Paladino si sono riorganizzati e hanno solo cambiato amministratore per giustificare la riapertura, ma nella foto il Paladino è abbracciato e sorridente con loro… Con tutti i ristoranti in giro per Reggio, Villa San Giovanni e Scilla proprio lì dovevano andare a mangiare? Diciamo che fanno gola i voti per le Europee a Forza Italia di quel gruppo, ma giusto per essere “generosi”. Per non parlare di chi ha pagato la cena che non era presente per ovvi motivi… Si tratta di un famigerato collaboratore di Cannizzaro, del quale tutti conoscono la “collocazione”…
Giuseppe Paladino, tanto per essere chiari, è il capofamiglia, legato anche per rapporti lavorativi con gli Alvaro: hanno insieme le macchinette dei giochi che piazzano nei bar e sale giochi. Ma Paladino – soprattutto – ha hotel, ristoranti, lidi, bar… e anche un bar a Bologna. Nella foto che li immortala ai posteri, oltre a Cannizzaro, ci sono il parassita Occhiuto, l’amministratore delegato di Ryanair, Tonino Polistena, (cognato di Rocco Nasone) e socio nel ristorante e Giuseooe Paladino, proprietario di fatto del ristorante
Ma per avere il quadro complessivo della situazione basta leggere questo articolo pubblicato sul sito Lavialibera (https://lavialibera.it/it-schede-1461-concessioni_balneari_spiagge_mafia)

Minacce, prestanome e gare truccate: così le concessioni balneari finiscono ai boss

I posti migliori per godersi la vista sullo Stretto di Messina dovevano essere quelle. La ‘ndrangheta controllava le concessioni balneari di Scilla (Reggio Calabria), borgo turistico della Costa viola. Con le minacce ai concorrenti e i giusti ganci nell’amministrazione comunale, la cosca influenzava le gare per affidare lotti di spiaggia facendo in modo che rimanessero a chi per anni aveva gestito i lidi, tra cui persone legate alla cosca Nasone-Gaietti. Una “sorta di usucapione mafiosa del lungomare scillese”, per dirla con il giudice che ha firmato l’ordinanza dell’inchiesta Nuova linea, condotta dal Reparto operativo dei carabinieri di Reggio Calabria sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia, sfociata negli arresti dell’8 settembre 2022. In autunno 39 persone affronteranno il processo. Tra di loro figura anche Pasqualino Ciccone, sindaco che si è dimesso dopo l’operazione, accusato di voto di scambio politico-mafioso. L’8 aprile scorso il ministero dell’Interno ha sciolto l’amministrazione comunale per infiltrazioni mafiose, decisione che era già stata presa nel 2018.

Nella sua relazione con cui chiede al governo il commissariamento di Scilla, il prefetto Massimo Mariani evidenzia che la penetrazione della cosca riguardava anche settori legati alla gestione degli stabilimenti balneari ottenuti sulle aree demaniali, cioè pubbliche, date in concessione dal Comune. Si tratta di attività che, il più delle volte, prevedono dei costi bassi per il pagamento del canone di affitto e per la manodopera, ma buoni introiti, attività “trainanti in una realtà a forte vocazione turistica” come Scilla. C’era “una sorta di logica ‘spartitoria’ tra i vari soggetti contigui o organici alla criminalità organizzata”. Non è l’unico caso in Italia: spulciando le relazioni di scioglimento di altri comuni costieri, concessioni balneari e chioschi sulle spiagge sono affari ambiti dalle mafie.

I boss truccano le gare per le spiagge di Scilla

Uno scorcio sulla spiaggia di Scilla, in provincia di Reggio Calabria (Pixabay)
Uno scorcio sulla spiaggia di Scilla, in provincia di Reggio Calabria (Pixabay)

“Ci sono delle regole che non sono scritte. Se uno è da trent’anni che mangia da una parte, non è che puoi andare. Se volete fare una cosa di queste prima dovete pensare al contrario: immedesimatevi, mettetevi nei suoi panni”Giuseppe Fulco – Boss di Scilla

Nel marzo 2021 il Comune di Scilla pubblica il bando per assegnare quattro porzioni della spiaggia da adibire a lido con ombrelloni e sdraio. In quel momento, gli interessati si mettono al lavoro. Tra di loro ci sono due famiglie che da decenni gestiscono gli stabilimenti.

Una famiglia è quella dei fratelli Paladino (Giovanni, Giuseppe e Rocco) che, emerge nell’indagine, si rivolgono a Giuseppe Fulco, boss reggente della cosca di Scilla, scarcerato nel 2018 dopo anni di detenzione. Fulco si dà da fare, minaccia i potenziali concorrenti e cerca informazioni riservate sul bando in preparazione. In piazza affronta un imprenditore interessato: “Gli ho detto io: ‘Tu là non fai nessuna gara perché là non è tuo’”, racconta il boss ai compari. A un altro dice: “Ci sono delle regole che non sono scritte. Se uno è da trent’anni che mangia da una parte, non è che puoi andare. Se volete fare una cosa di queste prima dovete pensare al contrario: immedesimatevi, mettetevi nei suoi panni”.

L’imprenditore Giovanni Paladino e i suoi fratelli, nel frattempo, chiedevano al sindaco Ciccone di modificare il bando di gara eliminando la richiesta di un requisito che avrebbe potuto ostacolarli. La clausola veniva in seguito rimossa dal responsabile dell’ufficio tecnico, a cui chiedevano anche altre modifiche. Alla fine i Paladino vincono la concessione, organizzano una cena per brindare all’esito, ma il capocosca non viene invitato: “Ma scusa, a me non mi invitate a questa cosa? Scostumati”, dice alla moglie di Paladino per poi aggiungere: “Guarda, ormai siamo soci”. In seguito sembra accorgersi dell’errore, si corregge: “Nel senso, no soci…”. Fulco e i fratelli Paladino sono indagati di violazione del segreto d’ufficio e turbativa d’asta aggravati dal metodo mafioso. Il boss e Giovanni Paladino devono anche difendersi dall’accusa di minacce a uno dei concorrenti. C’è bisogno di aggiungere altro?