Ustica, 44 anni di depistaggi. La verità senza colpevoli. Il giallo del mig in Calabria

(di Lirio Abbate – repubblica.it) – Un caccia dell’Armée de l’air decolla da una portaerei francese a Sud della Corsica e punta un mig libico che sorvola il mar Tirreno, coperto dalla scia di un Dc9 della compagnia Itavia con a bordo 81 persone. L’aereo è partito da Bologna con 106 minuti di ritardo ed è diretto a Palermo. È la sera del 27 giugno 1980. Parecchi anni dopo il 15 dicembre 2008, dopo indagini, insabbiamenti, coperture dei vertici militar, Francesco Cossiga, che al tempo della strage era presidente del Consiglio, dirà che ad abbattere il Dc9 sarebbe stato abbattuto “per errore” di un missile francese. Nonostante questo, 44 anni dopo, la strage di Ustica non ha ancora un responsabile. Ma conviene partire proprio dalla deposizione di Cossiga per ricostruire la storia della strage di Ustica.

La rivelazione di Cossiga

«Il capo del Sismi, ammiraglio Martini, da me interpellato confermò di aver fornito questa informazione a Giuliano Amato e precisò che l’aereo francese aveva in realtà come missione l’abbattimento di un aereo che trasportava il colonnello Gheddafi», così Cossiga parla davanti ai giudici 28 anni dopo la strage. E aggiunge: «Ricordo anche che insieme all’ammiraglio Martini considerammo a tal proposito, la circostanza che un radar italiano aveva “battuto la traccia” sulla diagonale di Olbia; questa circostanza, infatti, rendeva plausibile che l’aereo fosse partito da una portaerei». «Chiesi all’ammiraglio Martini come avesse saputo queste cose e lui mi rispose che queste informazioni giravano negli ambienti dei servizi» precisa l’ex presidente, che fornisce altri particolari. «L’ammiraglio durante il nostro colloquio mi riferì anche che sembrava che il pilota francese si fosse suicidato, dopo aver appreso che l’aereo che aveva colpito era in realtà un aereo civile italiano. Chiesi all’ammiraglio se avesse chiesto informazioni ai francesi sul punto, ma lui mi rispose di no in quanto i francesi non gli avrebbero dato alcuna spiegazione o informazione». Eppure, prima della decisione di Cossiga di rivelare queste informazioni in pochi si erano battuti con ostinazione per scoprire la verità. Tra questi, certamente il giudice Rosario Priore.

L’inchiesta di Priore

Il 31 agosto 1999 il giudice istruttore Rosario Priore a conclusione di anni di lavoro deposita una sentenza ordinanza nella quale sostiene che il Dc9 è stato abbattuto «a seguito di azione militare». In precedenza, indagini poco accurate e le reticenze dei vertici dell’aeronautica avevano accreditato prima l’ipotesi del “cedimento strutturale” e poi quella della bomba a bordo. Si trattava di depistaggi. L’istruttoria del giudice Priore aveva risolto il dubbio. Restava, però, apertissimo un problema politico oltre che giudiziario: chi era responsabile di quell’atto di guerra sui cieli italiani? Chi ne era a conoscenza? Inevitabile, a questo punto, addentrarsi nel contesto all’interno del quale si consuma il destino tragico degli 81 passeggeri del Dc9 Itavia.

Il nemico Gheddafi

Il 1980 è l’anno della strage alla stazione di Bologna, due anni prima era stato ucciso Aldo Moro e sullo scacchiere internazionale c’è una guerra di nervi fra diversi paesi. In particolare la Francia è in rotta con Gheddafi, con il quale è in guerra nel Ciad. E lo punta. In quell’estate ci sono tensioni spaventose che arrivano dall’interno e dall’estero. All’epoca Gheddafi era il nemico numero uno per americani e francesi, e l’idea che i suoi aerei potessero violare, spiare, o comunque interferire sopra le strutture militari della Nato era una cosa che mal sopportavano. Qualcuno si era stancato e voleva farla pagare a Gheddafi cercando di abbattere gli aerei libici che volavano sul Tirreno, e su cui gli alleati pensavano che quella notte ci fosse proprio il colonnello.

«Successivamente al disastro di Ustica, durante la mia Presidenza del Consiglio, seppi che per la seconda volta, i servizi italiani avevano salvato il colonnello Gheddafi da un attentato perché era stato avvisato di non partire con l’aereo oppure di tornare indietro dopo essere partito», rivela Cossiga al giudice. Queste dichiarazioni hanno dato la possibilità ai pm di riaprire le indagini sulla strage.

La Nato

Un’altra svolta si ha quando dopo 19 anni di silenzio la Nato rispondendo ai magistrati italiani traccia e identifica almeno quindici aerei militari che volavano nella zona dell’esplosione del Dc9. Indica anche due caccia italiani che venti minuti prima dell’esplosione incrociano l’aereo Itavia e notano qualcosa che porterà i due piloti italiani a lanciare un messaggio di allerta alla loro base. Il documento della Nato indica cinque velivoli sconosciuti attorno al Dc9, che si sospetta possano essere aerei francesi e libici. Nelle carte del giudice Priore c’è una ricostruzione che fa venire i brividi: il Dc9 sarebbe stato usato come copertura da uno o due aerei sconosciuti molto probabilmente libici, che tornavano verso la Libia.

Il giallo del mig in Calabria

Un mig libico viene ritrovato sulla Sila ufficialmente 20 giorni dopo l’abbattimento del Dc9, con un pilota morto che secondo i medici che hanno effettuato l’autopsia era deceduto da venti giorni, quindi è verosimile che possa essere stato colpito la stessa notte della strage. Quel mig è stato visto in diverse zone della Calabria da più testimoni che hanno raccontato che era inseguito da due caccia che gli sparavano con la mitragliatrice. Tutte queste coincidenze non possono essere casuali.

L’obiettivo non era il Dc9

La sovranità nazionale è stata violata. E oggi non è più un problema giudiziario, ma politico. Pensare che un magistrato, da solo, vada a bussare alla porta dell’Eliseo per chiedere a Macron di sapere finalmente la verità è poco credibile. Lo può fare invece un governo, se ha voglia di farlo, se pensa che questa strage è una pagina della storia di questo paese che deve essere ancora riempita di verità.